Fu una grande festa, settimane in cui Lucera scoprì "in diretta" il fascino del Cinema e la simpatia di un grande personaggio: Bud Spencer.
Trent'anni anni fa arrivò la troupe del film "Il Soldato di Ventura", diretto dal regista e scrittore Pasquale Festa Campanile e interpretato da un nugolo di bravi attori: Philippe Leroy, Marc Porel, Enzo Cannavale, Mario Scaccia, Renzo Palmer, Oreste Lionello, Angelo Infanti, Mariano Rigillo, Andrea Ferreol e, appunto, Bud Spencer, al secolo Carlo Pedersoli, imponente ex nuotatore, in nazionale alle olimpiadi di Melbourne del 1956. E' stato il primo italiano a scendere sotto il minuto nei 100 stile libero.
Poi c'erano le comparse, in larga parte ragazzi del posto e dei paesi limitrofi, entusiasti di vivere quell'esperienza davanti alla macchina da presa, accanto a tanti protagonisti del grande schermo. La pellicola rilegge, come è noto, in chiave comica, le vicende che portarono alla Disfida di Barletta, con il corpulento attore napoletano nel ruolo di Ettore Fieramosca, capitano di ventura originario di Capua. Set naturale, a Lucera, la fortezza Svevo Angioina e le zone limitrofe.
Le riprese cominciarono i primi di settembre, ma già in luglio, squadre di operai si erano messe all'opera per realizzare, all'interno del Castello, una città composta da trulli, botteghe, taverne e l'immancabile chiesa. Le costruzioni erano in muratura e avevano per tetto una copertura di assi di legno sulle quali erano adagiate le tegole.
La palestra dell'Opera San Giuseppe fu adibita a base logistica e magazzino per i costumi con annesso reparto vestizione. La leggenda narra di buchi goliardicamente praticati nei separé per spiare le ragazze mentre si spogliavano per indossare i costumi.
All'esterno delle mura del castello, sul lato che domina la strada per Pietramontecorvino, fu realizzata una piattaforma in legno per aumentare la superficie disponibile per le scene di massa in cui i soldati francesi davano l'assalto alla città tenuta dagli spagnoli. Non mancavano una torre per l'attacco alle mura e una testuggine, rivestita di lamierino di rame, provvista di ariete: macchine da guerra realizzate in gran parte con leggerissimo legno di balsa. E poi, massi di polistirolo a volontà che i "difensori di Barletta" lanciavano dagli spalti. Le gragnole di frecce, invece, erano "sparate" da una sorta di catapulta issata su una piattaforma di cemento che, dopo un trentennio, purtroppo, fa ancora orribile mostra di sé. I massi e le frecce furono i souvenir preferiti da portare a casa.