Oltre a provocare la fioritura del western all'italiana, i suoi film hanno anche dato il via al filone comico del western, quello rappresentato da Terence Hill e Bud Spencer. Si dice che questo filone sia nato quasi per caso, e che
"Lo chiamavano Trinità..." nelle intenzioni degli autori doveva essere un normale western serio. A vederlo, sembra impossibile.
Sergio Leone: «Sembra impossibile, ma è la
verità. Lei sa che questi western comici sono caratterizzati dall'assenza di morti ammazzati. Bene, nella prima avventura di
"Trinità" ci sono sei morti. Quando ho lavorato con Terence Hill in
"Il mio nome è Nessuno", è stato lui a raccontarmi tutta la storia. Dopo la prima proiezione, Enzo Barboni, il regista, era disorientato: tutto il pubblico si sbellicava dalle risate, e lui non capiva. Non capiva
perché era convinto di aver realizzato un western come un altro, e in quel momento
pensò che l'esito commerciale sarebbe stato disastroso. Poi, dopo il successo,
è venuta la consapevolezza, sono venuti gli schiaffoni, il rugby e tutti gli accessori che hanno fatto la fortuna della serie. Ma il primo film no, non era proprio un western comico nelle intenzioni degli autori. Brillante, esagerato, forse leggermente ironico, ma comico certamente
no.»
Tra le sue produzioni, la più significativa è indubbiamente
"Il mio nome è Nessuno". Perché non l'ha diretto personalmente, affidando la regia a Tonino Valerii?
Sergio Leone: «Perché avevo chiuso il mio discorso sul western con
"C'era una volta il West". Lo stesso
"Giù la testa", infatti, è stato scambiato per un western, ma
è più correttamente un film avventuroso ambientato all'epoca della rivoluzione messicana. D'altronde, mi piaceva moltissimo l'idea di
"Il mio nome è Nessuno", e così pensai di affidare la realizzazione a Valerii, che era stato il mio assistente in
"Per qualche dollaro in più" e poi, su mio consiglio, era subito passato alla regia. Insomma, era nato con me. La scelta, invece, non si
rivelò azzeccata, perché lui stentava molto a entrare in sintonia con
ciò che io volevo fosse quel film. Così il risultato
è un po' incerto, e sicuramente manca di equilibrio.»
"Il mio nome è Nessuno" contiene alcune scene in tutto e per tutto
"leoniane". Le ha girate lei?
Sergio Leone: «Lo ammetto, è opera mia. Tutto l'inizio, tanto simile a quello di
"Il buono, il brutto, il cattivo"; il duello con i cappelli nel cimitero indiano, un ricordo di
"Per qualche dollaro in più"; lo scontro di Beauregard con il mucchio selvaggio e il finto duello finale, sono tutte scene che ho girato personalmente. E senza falsa modestia, sono quelle che il pubblico ricorda di
più. Per il resto, trovo che l'aspetto burlesco del film, quello
più direttamente imparentato alla serie di "Trinità", sia troppo sottolineato.»
Proprio a questo proposito, con questo film ha voluto dire anche una parola conclusiva sui film di
"Trinità"...
Sergio Leone: «Si, era un film molto polemico in questo senso. I registi del western comico dovevano capire che potevano fare i film che facevano
perché prima c'era stato Fonda, c'era stato Ford, c'ero stato anch'io. Io mi sono sentito responsabile di
"Trinità" nei confronti del pubblico. Dopo
"Il buono, il brutto, il cattivo" il pubblico si era abituato male, diciamo che si era abituato a un certo livello di
qualità. E invece, negli anni successivi, fu costretto a subire una serie impressionante di western ignobili fino a raggiungere una totale saturazione. Nel momento in cui un titolo come
"Se incontri Sartana digli che è un uomo morto" viene storpiato dal pubblico stesso e diventa
"Se incontri Sartana digli che è uno stronzo", significa che l'autore
è stato smascherato e che il genere ha perso di
credibilità. Ecco il successo di Trinità: il pubblico si
è sentito vendicato...»
(Supplemento
a "L'Unita" del 22 marzo 1995, intervista
di Francesco Mininni)
Sergio
Donati è uno sceneggiatore (tra gli altri film
anche "Occhio alla penna"), amico di Sergio Leone,
che ha lavorato spesso con lui. In questa pagina del
suo diario on-line svela qualche retroscena di
"Il mio nome è Nessuno", contraddicendo in
qualche modo alcune dichiarazioni di Leone.
Sergio Donati: «"Il mio nome è Nessuno" nacque da un'idea (del cognato di
Leone, pensa te)
alla quale in una prima fase collaborai anch'io. Si trattava,
com'è evidente dal titolo che non è mai cambiato, di un adattamento western
dell'Odissea,
dove Ulisse era un prigioniero confederato scappato da un campo unionista, che
tornava dopo infinite peripezie per trovarsi la fattoria invasa da
"carpetbaggers" yankees che gl'insidiavano Penelope. Sterminio come da Omero e fine.
Poi la cosa diventò un'operazione sostanzialmente produttiva-commerciale
perché Sergio volle Terence Hill, il cui successo con i film di Barboni-Clucher
in qualche modo voleva patronizzare e risucchiare nel proprio
"filone". Il soggetto cambiò adattandosi al personaggio, io andai a fare altro sentendomi
inadeguato al genere Trinità, del quale del resto lo stesso Leone diceva
sempre: "non lo capisco, nun me fa ride".
Anche per questa ragione Sergio non pensò mai di dirigere quel film. Scelse
come regista un suo ex-aiuto che aveva già girato dei buoni western, Tonino
Valerii, e lo caldeggiò molto generosamente con Henry Fonda che esitava ad
accettare un italiano "sconosciuto", e con Terence Hill che si sentiva un po'
snobbato dal maestro. La lavorazione fu difficilissima, perché si tratta dell'unico western in
qualche modo "leoniano" i cui esterni siano stati girati all'80%
veramente negli Stati Uniti, tra il New Mexico e New Orleans.
Problemi nuovi ogni giorno,
attori irrequieti, costi alle stelle, unions all'arrembaggio.
Valerii è un introverso ma è tostissimo, e si
ritrovò a battersi solo contro tutti, finché accadde la cosa
più funesta che possa verificarsi durante la lavorazione d'un film, quando assieme a ogni sole che tramonta se ne vanno
decine se non centinaia di milioni: ci fu uno showdown terribile, da "o lui o
io", tra regista e direttore di produzione, che era Piero
Lazzari, un altro di prima scelta. Sergio se n'era stato dietro le quinte mostrando sempre estremo rispetto per
il regista, ma aveva visto i "rushes" giornalieri si capisce, e aveva capito
che nonostante tutte le lacrime e il sangue il film stava venendo benissimo.
Così non ebbe esitazioni a intervenire da produttore:
liquidò Lazzari e lo sostituì col fido e inossidabile Claudio Mancini.
Poi, giustamente, per rassicurare regista, attori e troupe, un bel giorno
si presentò sul set. C'erano un paio di fotografi mandati dall'ufficio stampa,
gli chiesero di sedersi dietro la Mitchell, da regista. "Se Tonino
permette", disse Leone. E Tonino non solo si
dichiarò onorato, ma propose a Sergio di dirigere lui la prossima piccola scena che era in programma quella giornata.
Così Leone mise l'occhio al buco, ordinò ciak, azione, e la scena fu
immortalata in molte foto, poi divenute celebri
perché fecero il giro un po' di tutti i giornali del mondo, com'è dovere e vanto di un bravo ufficio stampa. Lo
devo dire che inevitabilmente, da quel momento, tutti quanti, nell'ambiente e
fuori, dissero: "si, in realtà è stato Leone il vero regista di quel film, e
lo ha salvato dal disastro d'un regista incapace"?
Ora, io sono sicuro che Sergio non aveva astutamente previsto questo effetto.
Ma ci fu, e in seguito lui mai, neanche una volta, intervenne per dire
esplicitamente che non era vero, anche se il povero Tonino ne
restò letteralmente schiantato, come professionista e sopratutto come essere umano.
Ma così era fatto Leone, capace di incredibili prove di
generosità e di ingenerosità quasi nello stesso respiro. Tutti quelli che hanno lavorato per
lui, amandolo fino alla devozione perché era difficile fare altrimenti, si sono
prima o poi trovate sulla pelle di queste cicatrici: perfino Clint
Eastwood, e Morricone, e Delli Colli...»
("Sergio
Donati's Homepage")
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